Ventottesimo giorno

Il secondo post che ho scritto sull’emergenza coronavirus, dopo la scelta di restare a casa, è stato anche uno dei più brevi. Saturato, già allora, dalla “melassa virtuale” per cui, usciti dal tunnel, avremmo cambiato molte delle nostre cattive abitudini, scrissi che l’unico cambiamento positivo avrebbe riguardato, forse, i cinesi. Che non avrebbero più macellato animali vivi, magari selvatici, direttamente sui banchi dei loro mercati. Sto, lentamente, cominciando a ricredermi.

Il primo segnale l’ho avuto dai miei vicini di casa che si affacciano sempre, tre volte al giorno, dalle finestre e dai balconi di largo Minganti, a Roma: per sentire #quellocolbongo, cantare l’inno, ascoltare musica e accendere una luce. Ma soprattutto salutarsi, applaudire e gridare insieme “daje”! Sono costretti, come me, a restare a casa, è vero, ma nessuno li obbliga a condividere questi momenti di “anormalità”, diventati un’abitudine come la diretta facebook, perché, evidentemente, aiutano a resistere.

Un altro segnale incoraggiante mi è arrivato ieri sera ascoltando “Frontiere”, su Rai1. Francesco Di Mare, che la conduce, ha intervistato, tra gli altri, Paolo Mieli e lo scrittore Andrea Vitali. Mieli, che vive a Milano, ha raccontato di essersi scritto sull’agenda come un giorno da non dimenticare quello in cui, nonostante la sua diffidenza, quasi 9.000 medici, a fronte dei 300 richiesti, hanno aderito in 24 ore al bando lanciato dalla Protezione civile, per andare in soccorso dei loro colleghi allo stremo negli ospedali del Nord. Era il 21 di marzo, primo giorno di primavera. Vitali, autore di successo, ha lasciato la professione di medico di famiglia per dedicarsi, appunto, alla scrittura. Ma quando il suo amico, medico di Bellano, in provincia di Lecco, dove è nato e vive Vitali, gli ha chiesto di sostituirlo perché costretto alla quarantena dal coronavirus, lui ha detto subito di sì. Scegliendo d’indossare di nuovo il camice bianco, nonostante i rischi a cui andava incontro.

Lo spunto per rintracciare un ulteriore segnale, positivo, di cambiamento me l’ha dato l’articolo pubblicato da Flavia Perina su www.linchiesta.it, intitolato “Non è colpa degli italiani se il virus non è andato via”. Incuriosito dai numeri, sono andato a recuperare l’ultimo report settimanale del ministero dell’Interno sui controlli fatti nel nostro paese per il rispetto dei divieti imposti dai decreti anti-covid 19. Dal 28 marzo al 3 aprile sono state controllate dalle forze dell’ordine 1.561.527 persone. Quelle sanzionate con una multa o denunciate per reati più gravi (dalle false dichiarazioni alla violazione dell’obbligo assoluto della quarantena, perché contagiate dal coronavirus) sono state 48.320. Tante, è vero, ma il 96,9% delle persone ha dimostrato di aver rispettato le regole. Sempre nello stesso periodo sono stati controllati 612.682 esercizi commerciali. Quelli sanzionati o chiusi, più o meno provvisoriamente, sono stati 1.231. Sempre troppi, è vero, ma il 99,8% stava lavorando come previsto dai decreti del governo.

Dettagli, è vero anche questo, di fronte al dramma che stiamo vivendo. Ma comincio a credere che altre scelte, obbligate dall’emergenza e sicuramente più importanti, diventeranno irreversibili: garantire risorse adeguate alla sanità pubblica; riconoscere il ruolo, decisivo, dei medici di famiglia; assicurare alla scuola pubblica l’accesso alle nuove tecnologie, da affiancare alla didattica tradizionale; migliorare l’infrastruttura digitale del nostro Paese, dai servizi della pubblica amministrazione allo smart working nelle imprese; tutelare e promuovere, di più e meglio, le produzioni di qualità made in Italy.

Su altre, invece, ho più dubbi: imboccare, con decisione, la strada del cosiddetto “Green deal”, ridurre le disuguaglianze, garantire i diritti delle persone più fragili. Dipenderà molto anche da noi, da quanto sapremo mobilitarci perché diventino altrettanti passaggi obbligati verso la “ri-evoluzione” della nostra società, per citare un fortunato slogan di Legambiente. E dare così, insieme, un senso positivo alla constatazione, persino banale, che “nulla sarà più come prima”.

#quellocolbongo

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