Ventesimo giorno

Dobbiamo imparare a conoscerli meglio i virus che dovremo sconfiggere quando avremo superato, insieme, la pandemia del Covid19. A cominciare dalle mafie, che stanno approfittando dello stato di emergenza in cui viviamo. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, intervistato da “Repubblica” non ha dubbi: “I gruppi più strutturati si ritrovano già inseriti nei settori produttivi che non si sono fermati e anzi rappresentano le uniche voci attive dell’economia”. Imprese di pulizia, trasporti su gomma delle merci, in particolare dei prodotti ortofrutticoli, centri di grande distribuzione alimentare, farmacie. A cui aggiungere, come denuncia da sempre Legambiente, la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti.

E’ un’illusione pensare che le restrizioni a cui siamo costretti abbiamo rallentato, invece, quelle che Giovanni Falcone definiva come le “attività primarie” delle organizzazioni criminali: “La camorra – aggiunge de Raho – si sta adeguando alle necessità imposte da questa particolare fase storica: chiuse le piazze di spaccio, la droga viene consegnata a domicilio”. E guai a lasciargli spazio, ritardando il sostegno economico a chi non sa come andare avanti: “La crisi di liquidità che sta investendo un numero enorme di famiglie rappresenta una formidabile opportunità per la malavita – ricorda il procuratore nazionale antimafia -. Ora che molti strati della società hanno perso le loro fonti di reddito, sia quelle provenienti dal sommerso, sia quelle garantite dal lavoro in settori costretti alla chiusura forzata, chi ha messo da parte tanti soldi, a cominciare dai narcos, detiene un potere immenso. Le cosche possono offrire soldi e lavoro a persone che a causa dell’epidemia hanno perso tutto”.

I meccanismi con cui le mafie infettano il nostro Paese sono sempre gli stessi, come ricorda l’ultima Relazione della Direzione investigativa antimafia, relativa al primo semestre 2019. Ci sono, appunto, le attività di “primo livello” (traffico e spaccio di stupefacenti, estorsioni, usura, contrabbando di tabacchi, traffico di armi, gioco e scommesse illegali ecc.) che “oltre ad alimentare l’organizzazione e a consentire la gestione di un vero e proprio welfare, determinano un surplus molto rilevante che deve essere reimpiegato”. E le attività di “secondo livello”, come quelle descritte dal procuratore de Raho, oggi “sempre più necessarie per la “nuova” mafia imprenditrice – scrive sempre la Dia – perché offrono il vantaggio di destare meno allarme sociale, coinvolgendo imprenditori, professionisti e pubblici funzionari”. Il virus evoluto delle mafie, insomma, intreccia il proprio “dna” con quelli del riciclaggio di capitali illeciti, della corruzione, dello scambio di voti, dell’infiltrazione nella politica e nella pubblica amministrazione.

Ma quanto è esteso il contagio causato dal virus mafioso? E dove si concentrano i suoi focolai? Per capirlo basta dare uno sguardo alle quattro mappe che accompagnano questo post. Le prime tre sono alcune di quelle pubblicate nella Relazione della Dia: il clan della camorra nell’area meridionale e orientale della Provincia di Napoli; le “locali” della ‘ndrangheta, (ognuna delle quali raccoglie più di una ‘ndrina), nel versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria e nel Nord Italia. L’ultima è quella elaborata da “Avviso pubblico” sui Comuni e gli altri enti pubblici (tra cui due Aziende di sanità pubblica in Calabria, a Cosenza e Catanzaro) sciolti per mafia nel nostro Paese.

Conoscere bene la diffusione del virus non basta a sconfiggerlo, ma è indispensabile per combatterlo davvero, come abbiamo imparato per il Covid 19.

#quellocolbongo

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