Settimo giorno

Ho letto questa mattina l’intervista rilasciata all’Huffington Post da Paolo Crepet, che con spietata lucidità ci ricorda i nostri difetti, a cominciare dall’assenza di senso civico, e ci fa riflettere, partendo dai risultati dei suoi studi, su quello che ci attende: dopo l’euforia con cui stiamo reagendo allo stravolgimento della nostra vita quotidiana, la depressione. E forse anche l’incattivirsi delle relazioni. Perché a farci paura non è soltanto il rischio di ammalarci a causa del Covid19 ma l’incertezza su quanto a lungo saremo privati delle nostre libertà. Crepet ha ragione su tutto. Anche io ho avuto la stessa reazione quando ho visto montare su facebook l’onda dei post di chi scriveva “cambierà tutto e saremo migliori”. Non è per nulla scontato, anzi. Ma se oggi, fortunatamente, a prevalere, nella visione condivisa, è il rispetto delle regole. Se a moltiplicarsi sono i gesti concreti di solidarietà. Se invece di ignorarsi con i propri vicini di casa, ogni giorno ci si affaccia sul balcone o alla finestra per farsi coraggio, con un applauso, una canzone, una piccola luce accesa. Se accade tutto questo, non potrebbe in questi giorni crescere il nostro scarso senso civico, la consapevolezza dei limiti che non dobbiamo superare se non vogliamo perdere tutto, l’importanza di ciò che è pubblico, a cominciare dalla salute, e quindi bene comune? Prendiamocele tutte, per quello che possiamo, le libertà che ci sta costringendo ad apprezzare il Covid19. E che ci aveva rubato un sistema, abbastanza dissennato, di vivere: il tempo in casa con le persone a cui vogliamo bene, un libro in più da leggere, l’aria senza smog…E godiamoci anche quelle libertà che, nella normalità, si riservano solo ai folli, come affacciarsi a una finestra per cantare una canzone o farsi un applauso. Senza mai dimenticare chi lotta per noi nella trincea degli ospedali, chi soffre, chi non ce la fa e perde la vita. Anche per loro, non solo per noi stessi, dobbiamo scongiurare il pericolo, reale, di finire in depressione davanti all’incertezza del futuro e incattivirci, come animali in gabbia, con lo scorrere dei giorni.

Ieri il mio amico Giacomo Messina, presidente della cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, nata grazie ai lavoratori di un’azienza confiscata a Trapani al boss di Cosa nostra Vincenzo Virga, mi ha mandato la foto dello stabilimento chiuso. Un’immagine piena di ricordi per ciò che ho condiviso con loro, in lunghi anni di impegno comune contro la mafia, ma per niente triste, come neppure il messaggio che l’accompagnava. Le attività si fermano, com’è ora inevitabile che sia, soltanto per ripartire, appena sarà possibile con il più avanzato impianto di riciclaggio degli inerti attivo nel Mezzogiorno e quello di produzione di un calcestruzzo speciale, che piace anche a un ambientalista come me. Perché “insieme si può”. Daje!!!

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