Nel nostro Paese “si prefigura per la prima metà dell’anno un calo dell’attività economica di intensità eccezionale, mai registrato nella storia della Repubblica”, pari al -15% del Prodotto interno lordo. E su scala internazionale gli effetti del coronavirus “sembrano allo stato comparabili in tempi di pace soltanto a quelli della grande depressione del 1929”. L’ultima nota congiunturale dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (in sigla Ups), guidato da Giuseppe Pisauro, “illumina” il baratro economico scavato dal coronavirus. In fondo al quale stanno già precipitando milioni di persone, ridotte in condizioni di povertà.

Fare stime, avverte l’Ups, è azzardato, perché “risentono di un’incertezza estremamente elevata”, ma i segnali d’allarme, purtroppo, non mancano. Il ricorso alla Cassa integrazione potrebbe essere, come numero di ore autorizzate, tre volte superiore a quello dei “valori massimi osservati su base mensile dalla crisi finanziaria del 2009”, scrive sempre l’Ups. La distribuzione di cibo alle persone in difficoltà economica (1,5 milioni quelle già aiutate ogni anno) è cresciuta del 40%, con picchi ancora più alti in Campania, Calabria e Sicilia, come racconta Giovanni Bruno, presidente del Banco Alimentare, all’agenzia d’informazione Sir. “Prima ai nostri centralini arrivavano una o due telefonate di singoli cittadini. Ora ogni giorno ci chiamano decine di persone. Sono preoccupate perché non sanno a chi chiedere aiuto, non sanno come sfamare i figli. Si vergognano di trovarsi per la prima volta in difficoltà”. Coldiretti, in una nota pubblicata poco prima di Pasqua, aveva stimato un aumento di 500.000 nuovi poveri. Secondo Save the Children, il 50% degli oltre 2 milioni di minori che vivono in condizioni di povertà relativa (con redditi familiari in grado di fare fronte soltanto alla spesa media per consumi), rischia di scivolare, insieme ai genitori, nella povertà assoluta, quella già raggiunta nel nostro Paese prima del Covid-19 da 1.260.000 minori. La Fondazione Studi Consulenti del lavoro ha stimato in tre milioni i nuovi poveri causati dal lockdown. Allargando lo sguardo al resto del mondo, secondo Oxfam saranno 500 milioni le persone condannate a finire nella povertà estrema, con un reddito giornaliero inferiore a 5,5 dollari, cancellando trent’anni di lenta, faticosissima riduzione.
L’unico precedente storico, ammonisce l’Ufficio parlamentare del Bilancio, è la Grande depressione del 1929. Innescata dal crollo, tra il 24 e il 29 ottobre, della Borsa di Wall Street (dal “giovedì” al “martedì nero”) ma frutto, in realtà, di un sistema economico fuori controllo, tra produzione di beni di consumo sproporzionata rispetto all’effettiva domanda, crollo dei prezzi, crescita vertiginosa delle azioni (con l’indice azionario moltiplicato in 7 anni del 500%), barriere doganali. Oltre il 25% della popolazione attiva negli Stati Uniti perse il lavoro (12,5 milioni di disoccupati), gli istituti finanziari americani “richiamarono” i prestiti erogati all’estero (30 miliardi di dollari di allora) portando al collasso i sistemi bancari europei, soprattutto in Inghilterra, Austria e Germania. Nel mondo industrializzato, a restare senza lavoro furono 30 milioni di persone. Sappiamo com’è andata a finire. In Europa con il nazismo e la Seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti con il New deal di Roosvelt: regole più rigide per il mercato, investimenti pubblici, politiche sociali. Da noi, fortunatamente, non rischiamo derive come quelle del Novecento, perché sono troppo forti gli antidoti ai “veleni” che pure circolano nella società. Ma al New deal, nella versione green evocata per questo Terzo millennio, dovremmo lavorare davvero, se non vogliamo finire nel baratro.
Non mi sembra che vada in questa direzione la scelta, inserita nel piano elaborato dalla Commissione Colao, di prevedere, tra le prime attività da riaprire dopo il 4 maggio, il settore minerario. Nel 2017 sono state estratte dalle cave del nostro Paese 149,1 milioni di tonnellate di minerali, destinati al mercato delle costruzioni, per cui vengono pagati canoni irrisori, come denuncia da anni Legambiente. Mentre faticano a trovare un mercato, per l’assenza di norme adeguate, oltre 50 milioni di tonnellate di inerti da demolizione prodotte ogni anno, con l’Italia fanalino di coda in Europa: appena il 9% di riciclo effettivo, sempre secondo Legambiente. Non vediamo l’ora di ripartire ma vorremmo farlo, almeno questa volta, nella direzione giusta.
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