Ottavo giorno

Ho pensato questa mattina che è solo apparentemente casuale la coincidenza tra il flash mob di ogni sera alle 18, quando ci ritroviamo a cantare insieme affacciati dai balconi e dalle finestre, come facciamo qui a Largo Minganti, e il giornaliero bollettino della Protezione civile. E’ anche un modo per esorcizzare quei numeri, ogni giorno più terribili. Perché crescono le persone contagiate così gravemente da essere sottoposte a un tampone. E crescono i morti, com’è inevitabile che accada fino a quando non verrà raggiunto il famigerato “picco”. E’ un esorcismo che dura pochi minuti, perché saranno decine i notiziari che finiremo inevitabilmente per ascoltare, in cui quei numeri verranno ripetuti infinite volte. Ma quei momenti in cui, insieme, per quello che possiamo e per quel poco che vale, proviamo a cambiare la realtà drammatica che stiamo vivendo, non sono soltanto una piccola fuga. Lasciano intravedere, se saremo capaci di dargli continuità e sostanza, qualcosa di più profondo. Un’opportunità che abbiamo, per quanto possa sembrare paradossale dirlo.

A raccontarla, con la lucidità e la nettezza che la caratterizzano, è Naomi Klein, in una bella intervista rilasciata nei giorni scorsi a Marie Solis di “Vice”, tradotta da Anna Maria Basilicò e pubblicata su globalproject.info. Lo spunto arriva da un altro libro a suo modo profetico, dopo “Spillover, l’evoluzione delle pandemie” di David Quammen: “Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri”, pubblicato dalla Klein nel 2007, due anni dopo la catastrofe causata dall’uragano Katrina e un anno prima del crollo di Wall Street, che ha innescato la più grave crisi economica e finanziaria in cui è ancora sostanzialmente immersa l’umanità.
La Klein sintetizza così la sua teoria sulla shock economy: “Soluzioni di libero mercato pianificate in risposta a crisi, che sfruttano ed esasperano diseguaglianze esistenti”. Nessun complotto, per carità, quanto una reazione con cui le elite di potere sfruttano, appunto, un’opportunità per fare quello che non potrebbero permettersi senza scatenare proteste sociali fortissime, in condizioni normali. E’ quello che è successo con l’austerity dopo la crisi del 2008, con i tagli drastici del welfare e della spesa pubblica in generale, a cominciare, in Italia e non solo, dalla sanità. Ed è quello che potrebbe accadere oggi, afferma sempre la Klein, approfittando della crisi causata dal Covid19 per salvare proprio tutte quelle attività economiche (trasporto aereo, multinazionali delle fossili, crocieristica etc.) che sono, in termini di emissioni di anidride carbonica, le principali responsabili dei disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici.

L’economia di guerra, come l’ha definita sempre ieri il neo commissario all’emergenza Covid19 in Italia, Domenico Arcuri, a cui dovremmo adeguarci prevederebbe la cancellazione di qualsiasi ragionamento sui tagli delle emissioni, di qualsiasi penalizzazione, anche fiscale, delle attività più inquinanti, la rinuncia a “sogni” di conversione ecologica dell’economia perché c’è un “motore” da far ripartire. Lo stesso del sistema che è all’origine dei disastri globali degli ultimi dieci anni. E dell’arricchimento di pochi. Perché a scatenare l’uragano Katrina e tutti quelli che l’hanno seguito, lo sappiamo bene, sono i livelli di gas climalteranti immessi nell’atmosfera da un modello di produzione e di consumo fondato esclusivamente sul profitto. A far “esplodere” la bolla di Wall Street è stata una irrefrenabile speculazione finanziaria. E a diffondere il Covid19, gli squilibri di un consumismo dissennato in cui salta qualsiasi relazione con il benessere e la salute. “Quando reagiamo a una crisi – sostiene Naomi Klein – o regrediamo e ci disperdiamo o cresciamo e troviamo insieme la forza e la compassione che non credevamo di possedere”.Questa volta abbiamo la fortuna di avere una “reale alternativa politica”, aggiunge sempre la Klein, che è rappresentata dal Green new deal e da un movimento che la sostiene, a partire dai giovani dei Friday for future. “Semplicemente non dobbiamo perdere coraggio”. Ed essere consapevoli che “se non ci prendiamo cura gli uni degli altri, nessuno può dirsi al sicuro”. Perché siamo e saremo sempre più inevitabilmente connessi, come mi ricorda ogni mattina, quando mi affaccio dal balcone di casa, quella straordinaria opera d’arte che Blu ha voluto regalare a chi vive nei palazzi della case popolari di Rebibbia. Le stesse case dov’è nato il Comitato Mammut, per prendersi cura degli spazi abbandonati del nostro quartiere, ispirato a un frammento di storia della Terra racchiuso in un piccolo e prezioso museo, a poche decine di metri da quei palazzi. Oggi il Comitato Mammut, insieme al “Casale Alba 2” e al Forum per il parco di Aguzzano (anche loro animati da persone che hanno sfidato pure le “regole” per salvare e rigenerare luoghi pubblici abbandonati da chi aveva il dovere istituzionale di prendersene cura) ha dato vita a un’iniziativa di “solidarietà territoriale”, dedicata a chi non può fare la spesa o andare in farmacia, perché in questa lotta di liberazione dal coronavirus “nessuno resti indietro”.

Ho imparato, grazie a Legambiente, che il prossimo 20 maggio festeggia i suoi 40 anni di vita, che “tutto è attaccato”. E allora mi consola un poco pensare che quegli applausi, le canzoni, le luci che si accendono quando comincio a suonare il bongo in fondo possono essere un piccolo frammento di una storia diversa, da costruire insieme. Daje! #quellocolbongo
(ps: l’ho fatta lunga, lo so, ma ieri sera, a proposito di connessioni, mi è arrivato un messaggio da Facebook in cui mi si comunicava che una parte del video postato era stata “silenziata” perché conteneva un brano musicale che non ero autorizzato a pubblicare, secondo le norme dettate da Andorra e altri 159 paesi. Potevo scegliere se cancellare il video o pubblicarlo senza quella musica. Ovviamente ho scelto la seconda soluzione ma sarebbe bello se tutti i cantanti italiani comunicassero a Facebook che per tutta l’emergenza coronavirus rinunciano a qualsiasi divieto di riproduzione della loro musica, a causa dei diritti di autore. Semplicemente perché cantare le loro canzoni affacciati a un balcone o a una finestra aiuta a vincere questa guerra).

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