Nono giorno

Questa mattina mi sarei dovuto svegliare a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento. E prepararmi per dare vita, insieme a Vito Baroncini e allo staff della Cinemovel foundation, alla quarta tappa siciliana del tour di “Rifiutopoli”, organizzato da Claudia Casa, direttrice di Legambiente Sicilia, insieme alle straordinarie volontarie e volontari che animano i circoli legambientini quella splendida isola. Avremmo avuto di fronte centinaia di ragazzi e ragazze delle scuole di quel territorio, a cui raccontare, con le mie parole, le opere d’arte realizzate alla lavagna luminosa da Vito Baroncini, i suoni curati da Andrea Basti, i veleni dell’ecomafia e gli antidoti dell’economia circolare. Non sarebbe stato un giorno qualunque anche per un’altra ragione, storica.

Oggi ricorre il 26° anniversario dell’uccisione di don Peppe Diana, il parroco della chiesa di San Nicola, a Casal di Principe, ucciso da quella stessa camorra che stava avvelenando, da alcuni anni, l’Agro aversano e il litorale Domitio flegreo. Interrando nelle cave abusive di sabbia, sotto i piloni della nuova statale Domitiana Quater, nei terreni agricoli i rifiuti speciali e pericolosi, milioni di tonnellate, di cui si liberavano imprenditori senza scrupoli delle regioni più ricche del Paese. Don Peppe Diana aveva scritto e promosso, nel 1991, una straordinaria lettera di denuncia, intitolata “Per amore del mio popolo non tacerò”, in cui si descrivevano, senza mezzi termini, le condizioni in cui vivevano intere popolazioni. Sottoposte al terrorismo dei clan camorristici, che puntavano a diventare una “componente endemica della società”, e vittime, allo stesso tempo, del “disfacimento delle istituzioni”, con “infiltrazioni a tutti i livelli” delle organizzazioni criminali. Don Peppe Diana venne ucciso da sicari del boss Nunzio De Falco, come ha sancito la Cassazione nel 2004, che voleva così affermare il suo potere in quei territori rispetto a un altro clan, quello degli Schiavone-Bidognetti, a cui nelle dinamiche di potere mafiose “apparteneva” Casal di Principe, insieme al destino dei suoi abitanti. Prendendosi la vita di un parroco, ucciso nella sagrestia della sua chiesa, poco prima che celebrasse messa, il giorno del suo onomastico.

Oggi, a causa del Covid19, non sarà possibile per i giovani che don Peppe aveva avvicinato all’impegno e che hanno dato vita, in quei territori, a una lunga e mai conclusa lotta di liberazione manifestare, insieme ai familiari del sacerdote ucciso dalla camorra, come hanno sempre fatto lungo le strade di Casal Di Principe. Ma ognuno di noi potrà essergli comunque vicino, partecipando con un video, un messaggio, un pensiero alla “Marcia social” promossa dal Comitato Don Peppe Diana (dongiuseppediana.org). Basterà postarli sulle nostre bacheche social con gli hastag #MarciaSocial19­­_21marzo #nelleterredidonpeppediana #restoacasaefacciomemoria. Al resto ci penseranno Valerio Taglione, le amiche e gli amici del Comitato e di tutte le altre realtà associative che hanno promosso la Marcia.

Capita che la storia crei connessioni imprevedibili, come quelle che stiamo vivendo oggi con una delle frasi più conosciute di don Diana: “Bisogna risalire sui tetti per riannunciare parole di vita”. E’ quello che in fondo stiamo facendo ogni giorno, dai nostri balconi e dalle nostre finestre, in questa nuova, difficile lotta di liberazione. Da un virus, a cui assomiglia molto la camorra. #quellocolbongo.

Ti consigliamo anche