Theodor Adorno

Filosofo, tedesco (1903-1969).

Laureatosi in filosofia nel 1924 e conseguita la libera docenza nel 1933, A., di padre ebreo, dopo l’avvento al potere di Hitler riparò prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, da dove fece ritorno nel 1953. Dalla metà degli anni Trenta divenne, insieme con Horkheimer, –>Benjamin e –>Marcuse, una delle figure di spicco della Scuola di Francoforte. Morì all’indomani della prima grande stagione della  contestazione giovanile, la quale non lo riconobbe mai, diversamente da Marcuse, tra i propri maestri.

Nel pensiero di A., la critica sociale d’ispirazione marxista (–>Marx, –>Marxismo) e la filosofia dialettica sviluppata in particolare attraverso il confronto con –>Hegel e il giovane Lukàcs, s’incontrano con gli apporti del pensiero negativo, soprattutto quello che risale a Kierkegaard e –>Nietzsche. Ne scaturisce, esposta soprattutto nell’opera scritta con Horkheimer – Dialettica dell’illuminismo (1947) -, una complessiva visione critica della civiltà occidentale che supera la prospettiva del marxismo classico, interrogandosi con maggiore radicalità sul rapporto tra civiltà, dominio della natura e possibilità di liberazione degli uomini. All’–>Illuminismo, pensiero che per A. caratterizza la specificità dell’Occidente sia nel campo capitalista che in quello del socialismo realizzato, e che identifica la liberazione dell’uomo con il sempre crescente controllo dei processi naturali, egli contrappone una linea di analisi in cui il rapporto tra civiltà e dominio della natura è visto in termini assai più problematici e, nel linguaggio di A., dialettici. Se da un lato, infatti, la civiltà è senza dubbio il risultato del dominio dei processi naturali, dall’altro tale dominio impone come “prezzo” il progressivo, inesorabile consegnarsi della civiltà stessa all’ideologia e alla falsa coscienza, che sotto la nozione dell’esistente e dell’oggettivo mascherano in realtà  rapporti consolidati di dominio sociale, e presentano come utopia tutto ciò che contrasta con tale oggettività. Perciò il dominio della natura, da strumento di liberazione, diventa al tempo stesso mezzo di asservimento; si deve dominare sempre di più la natura per conquistare l’autonomia dal bisogno, dalla miseria, dall’insicurezza, dalla paura, e a questo fine si creano apparati e tecniche di dominio sociale sempre più imponenti, dai quali esce progressivamente schiacciata ogni ipotesi di critica della realtà. Centrale in questa riflessione è il concetto  della società come “seconda natura” – concetto ripreso da Hegel, ma riproposto con una accezione negativa, rovesciata rispetto alla riflessione hegeliana – che aliena l’uomo da se stesso: gli odierni rapporti sociali, basati sul predominio di pochi su molti, sovrastano ed opprimono gli individui negandone la libertà e la spontaneità, ed esercitando su di essi un potere altrettanto incontrollabile di quello che gli uomini primitivi subivano dalla prima natura. Risiede qui, per A., il  paradosso della modernità: da un lato, grazie alla –>Tecnica, all’industria, allo stesso capitalismo, gli uomini contemporanei potrebbero essere tutti liberati dalla scarsità materiale e dalla paura;  dall’altro, tale possibilità si allontana sempre di più perché i rapporti sociali continuano a riprodursi su base antagonistica e di dominio.

La visione adorniana dell’età della tecnica, sebbene possa apparire altrettanto pessimistica di quella di  –>Heidegger, con cui egli si pone in contrapposizione, tuttavia offre anche una via d’uscita. Il dispiegamento del dominio tecnico-scientifico sulla natura, infatti, mentre per un verso asservisce gli uomini ad un apparato su cui essi nulla possono, per un altro verso crea, nella visione di A., le condizioni per una “negazione” dell’esistente e quindi per una possibile liberazione dai rapporti di dominio sociale. Il potenziale tecnico-scientifico di cui la civiltà ormai dispone è la condizione per compiere quello che, per A., è il passaggio essenziale di fronte al quale si trova la società occidentale nell’età della tecnica. La liberazione dal bisogno e dalla scarsità naturale che essa è andata via via conquistando pone dialetticamente anche le basi per una critica dell’esistente, cioè per il riconoscimento del fatto che ciò che limita davvero le possibilità di sviluppo umano non è la scarsità naturale, ma è il primato dello sviluppo illimitato (–>Limite/limiti), della produzione fine a se stessa, del dominio sulla natura, condizione attraverso cui si perpetuano il dominio e l’alienazione sociali.

Per A., cioè, quanto più la civiltà s’immerge nell’età della tecnica, tanto più essa diventa consapevole che quel dominio sulla natura e su tutte le creature che ha consentito il progresso, è anche ciò che ha deformato e alienato l’uomo, e che tale alienazione non verrà superata finché si continueranno a porre il dominio sulla natura e l’espansione della produzione come scopi primari, a scapito della solidarietà non solo tra gli uomini, ma anche tra gli uomini e gli altri esseri viventi.

Il pensiero di A. ha fortemente influenzato l’–>Ecologia politica e in generale tutte le correnti del pensiero ecologico che rifuggendo da ogni suggestione neoromantica (–>Romanticismo) o nostalgia arcadica, pongono la questione ambientale come problema squisitamente moderno, e come fattore di una rinnovata dialettica sociale che guardi oltre il solo conflitto tra capitale e lavoro.   

BIBLIOGRAFIA

Dialettica dell’illuminismo (con Horkheimer), 1947

Minima moralia, 1951

Gergo dell’autenticità, 1964

Dialettica negativa, 1966

Ti consigliamo anche