Nicholae Georgescu-Roegen

Economista, rumeno naturalizzato statunitense (1906-1994).

Dopo la laurea in matematica a Bucarest e la specializzazione in statistica a Parigi, nel 1946 G. emigrò negli Stati Uniti, dove fino al 1976 ha insegnato economia alla “Vanderbilt University” nel Tennessee. A lui si devono contributi significativi in molti campi degli studi economici, ma la sua fama è soprattutto legata ad un’opera – The entropy law and the economic process del 1971 – in cui viene proposto un radicale rovesciamento dei criteri dell’analisi economica, che sostituisca i princìpi della termodinamica all’impostazione neoclassica ispirata alla meccanica. Nel libro, considerato il manifesto dell’àEconomia ecologica, G. si cimenta nella costruzione di un nuovo paradigma economico basato su un approccio àSistemico mutuato dal pensiero della àComplessità, e in particolare sulll’utilizzo del concetto di àEntropia: egli ritiene infatti che la seconda legge della termodinamica obblighi ad introdurre nell’analisi economica, che tradizionalmente ha considerato i processi economici reversibili e circolari, le leggi del mondo vivente, per le quali i processi sono invece irreversibili. Il consumo delle risorse energetiche fossili e delle risorse minerarie determina un progressivo e irrimediabile degrado dei livelli dell’entropia terrestre, cioè riduce continuamente l’attitudine dell’energia e delle materie prime ad essere ancora utilizzate; l’uomo produce sempre più beni materiali e merci, ma anche sempre più scorie, e la sola prospettiva praticabile per un’umanità che voglia progredire in equilibrio con la natura, è di affidarsi a un diverso modello – che G. chiama “bioeconomia” – nel quale siano utilizzate al meglio le capacità produttive del mondo vivente (per esempio sostituendo i combustibili fossili con l’energia solare) e ci si liberi sia dal “mito” della àCrescita economica illimitata come destino e interesse obbligati dell’umanità, che dalla falsa speranza dello àSviluppo sostenibile, concetto che egli considera un evidente ossimoro perché non può darsi “sviluppo” senza “crescita”.  Questa riflessione, cui s’ispirano le stesse recenti teorie sulla decrescita (àLatouche) e che risuona con i concetti di “stato stazionario” di àDaly e di “econosfera” di àBoulding, presenta tratti  decisamente sovversivi rispetto ai canoni dell’economia politica. Essa, inoltre, è venata da un pessimismo di fondo, dall’idea che il sistema capitalista, intrinsecamente “antiecologico”, affondi le proprie radici in un dato antropologico generale, pressoché irreversibile,  prim’ancora che in rapporti di potere storicamente determinati e, dunque, superabili: “E’ disposto l’essere umano – scrive G. nel saggio Energia e miti economici del 1975 – a prendere in considerazione un programma che implichi una limitazione della sua assuefazione alle comodità esosomatiche? Forse il destino dell’uomo è quello di avere una vita breve, ma ardente, eccitante e stravagante, piuttosto che un’esistenza minima monotona e vegetativa. Siano le altre specie, le amebe per esempio, che non hanno ambizioni spirituali a ereditare una terra ancora immersa in un oceano di luce solare”.

Il pensiero di G. è stato tra i principali riferimenti sia per le elaborazioni sui limiti dello sviluppo (àLimite/limiti, àMeadows, àPeccei) che per l’àEcologia politica, la quale  dai suoi primi passi ha sempre guardato all’economista rumeno-statunitense come ad un maestro, condividendone la messa in discussione dell’imperativo della crescita economica “ad ogni costo” e facendo propria, soprattutto, la sua critica profonda, strutturale, del capitalismo e dello sviluppo economico che però non diventa mai nostalgia antimoderna o perorazione antitecnologica.     

BIBLIOGRAFIA

The entropy law and the economic process, 1971

Energia e miti economici, 1975

Bioeconomia: verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, 1977

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