Manuel Castells

Sociologo, spagnolo naturalizzato statunitense (1942).

In gioventù militante antifranchista, studioso delle trasformazioni urbane, professore in università della Francia, della Spagna, degli Stati Uniti, C. si è andato affermando come uno degli analisi più autorevoli ed originali delle società industriali avanzate e in particolare dei processi sociali ed economici legati alla diffusione delle tecnologie dell’informazione. Elemento chiave nell’elaborazione di C. è il concetto di “network society”, “società in rete”: per lui, infatti, proprio la rete è il segno distintivo dell’attuale fase storica, il criterio fondante di tutta la realtà odierna; essa è la forma prevalente tanto della globalizzazione dell’economia quanto della riorganizzazione degli spazi urbani, caratterizzata dalla preminenza della morfologia sociale sull’azione sociale. Questa nuova struttura segue la trasformazione profonda delle tecnologie, basate un tempo sulla produzione materiale e attualmente riconvertite all’informatica, alle telecomunicazioni e alle biotecnologie: “Ciò che è cambiato – scrive C. ne La nascita della società in rete del 1996, primo titolo di una trilogia (L’età dell’informazione) dedicata a questa grande rivoluzione socio-culturale – non è il tipo di attività che impegna l’umanità, ma la sua abilità tecnologica  nell’impiegare come forza produttiva diretta ciò che contraddistingue la nostra specie come eccezione biologica: la sua superiorità capace di elaborare simboli”. Nell’analisi di C., l’avvento della comunicazione digitale informatica sancisce la rottura definitiva da parte dell’umanità del cordone ombelicale che ancora la teneva collegata alla natura, e segna il trionfo della virtualità. Questa svolta ha cambiato radicalmente lo stesso capitalismo, sempre meno legato ai luoghi fisici della produzione e sempre più “informazionale”, strutturato cioè in reti flessibili e fluide. Un capitalismo, afferma C., “indurito negli scopi ma incomparabilmente più flessibile nei mezzi”, e che  fa crescere le disuguaglianze sociali su scala sia locale che globale: resta esclusa, infatti, la massa dei lavoratori generici che non dispongono di sufficienti risorse cognitive; e restano esclusi interi Paesi che non rivestendo un interesse strategico per questa nuova forma di capitalismo, si ritrovano disconnessi dall’economia dei flussi governata dalle reti informatiche.

Il cambiamento epocale descritto da C. nei tre volumi de L’età dell’informazione non è un processo lineare né scontato, anzi si confronta con forti contraddizioni e con strenue resistenze: le dinamiche che innesca sono contraddistinte al tempo stesso da individualismo (“per la progressiva individualizzazione delle occupazioni, dei rapporti sociali e della vita domestica”) e da comunitarismo (“le comunità virtuali e quelle fisiche sviluppano un’interazione intensa”), nonché da un’opposizione di fondo tra globalità e localismo. Mentre infatti “i processi fondamentali nei settori dell’economia, della tecnologia, dei media e delle autorità istituzionali sono organizzati sotto forma di reti globali, (…) il lavoro, il tempo libero, le identità culturali e la partecipazione politica sono essenzialmente locali”. E poi proprio il carattere integralista, irriducibile, arrogante di questa trasformazione, accresce per reazione nelle persone la spinta a raggrupparsi sulla base di identità primarie – religiose, etniche, territoriali, nazionali -, dando luogo a conflitti spesso devastanti.

Infine, C. pone l’accento su una ulteriore dinamica che egli giudica profondamente innovativa: la comparsa sulla scena di nuovi movimenti sociali – a cominciare dall’–>Ambientalismo e dagli stessi –>No-global –  che contestano radicalmente gli assetti socio-economici dominanti e però sfruttano, per sviluppare la propria influenza, gli stessi meccanismi reticolari che animano la “network society”, ed ispirano la propria azione alle coppie individualismo/comunitarismo e globalità/localismo. Per C., in tali nuovi movimenti si manifestano quelle che egli chiama “identità progettuali”: cioè un tipo di tipo di legami comunitari fondato non sulla condivisione oggettiva di caratteri dati – l’etnia, la religione, la lingua, il territorio -, ma su un “programma” di valori sociali e obiettivi politici. Queste forme inedite di associazione – scrive C. nel secondo volume della sua trilogia – rappresentano “in potenza, la principale fonte di cambiamento sociale nella società in rete”: da esse, dalle loro modalità di organizzazione e di azione ma anche dai loro contenuti, dovrebbero trarre esempio anche le culture riformiste: immergendosi pienamente nei cambiamenti in atto, ma decise da orientarli secondo l’interesse generale.      

BIBLIOGRAFIA

L’età dell’informazione:

– La nascita della società in rete, 1996

– Il potere delle identità, 1997

– Volgere di millennio, 1998

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