La necessità di un limite nel consumo e nella manipolazione della natura da parte dell’uomo, è uno dei temi fondativi del pensiero ecologico, ispirato alle visioni di radicale critica dei “miti” positivisti della –>Tecnica e del –>Progresso affermatesi nella cultura occidentale soprattutto dalla seconda metà del Novecento.
In particolare, la riflessione ecologica si è applicata a contestare l’idea della possibilità e desiderabilità di una –>Crescita economica continua e illimitata, a partire dalla considerazione dell’–>Impatto ambientale crescente, sempre più globale, sempre meno reversibile, dell’attuale modello economico. Questa visione, che è alla base del passaggio culturale dal –>Conservazionismo all’–>Ambientalismo e si richiama esplicitamente alle nuove categorie scientifiche dell’approccio –>Sistemico e della –>Complessità, ha dato luogo a diverse teorizzazioni, dall’–>Economia ecologica, all’–>Ecologia politica, al –>Principio di precauzione.
Ad imporre nel dibattito pubblico il concetto di “limiti allo sviluppo economico” furono all’inizio degli anni Settanta il Club di Roma fondato e presieduto da Aurelio –>Peccei, che commissionò ad un gruppo di ricercatori del “Massachussets Institute of Technology” (Mit) guidato da –>Meadows una ricerca che attualizzando l’elaborazione di –>Malthus sul ciclico, ricorrente, squilibrio tra aumento della popolazione, che segue una progressione geometrica, e e aumento della produzione di cibo, che cresce invece secondo una progressione aritmetica, dimostrasse l’impossibilità di una crescita economica illimitata vista la finitezza delle risorse naturali. Dalla ricerca nacque il Rapporto intitolato I limiti dello sviluppo (il titolo originale era The Limits to Growth, letteralmente “I limiti allo sviluppo”), pubblicato nel 1972 e divenuto rapidamente un best-seller internazionale: in esso si sosteneva che una crescita esponenziale e illimitata della popolazione e della produzione è del tutto illusorio in quanto supporrebbe la disponibilità di una quantità illimitata di risorse non rinnovabili e di terra coltivabile e un’illimitata capacità dell’ambiente di assorbire l’inquinamento. Sulla base di modellizzazioni matematiche ispirate alla teoria sulla dinamica dei sistemi di –>Forrester, anch’egli professore al Mit, il Rapporto concludeva che in un arco di tempo variabile, ma abbastanza breve, l’umanità sarebbe giunta ad un crollo del tenore e della speranza di vita, a causa della progressiva diminuzione delle rese agricole, dell’aumento del prezzo delle materie prime sempre più scarse, dell’aumento dell’inquinamento. Per evitare una crisi catastrofica non vi era che una strada: imporre una “crescita zero” sia in campo demografico che economico.
Il Rapporto, nel quale riecheggiavano precedenti e in parte analoghe riflessioni di autori come –>Boulding e –>Ehrlich, suscitò grande interesse nell’opinione pubblica, specie per l’autorevolezza degli autori e anche per il fatto che pochi mesi dopo la pubblicazione, con la guerra arabo-israeliana del Kippur seguita dalla parziale interruzione delle forniture di petrolio ai Paesi occidentali, sembrò avverarsi, sia pure per cause geo-politiche, la profezia sulla fine della disponibilità illimitata di risorse naturali. Ma il libro ricevette anche durissime contestazioni: da più parti Meadows e i suoi collaboratori vennero tacciati come nemici del progresso e in particolare la sinistra liquidò le loro tesi come il tentativo di cristallizzare le diseguaglianze sociali ed economiche tra Paesi ricchi e Paesi poveri, di condannare alla miseria a vita miliardi di uomini e donne, di preconizzare sistemi razzisti ed eugenetici di sterilizzazione obbligatoria di massa. Critiche aspre vennero rivolte al Rapporto anche dai settori politicamente più impegnati del nascente movimento ambientalista (–>Ambientalismo): il contrasto venne alla luce per la prima volta in occasione della Conferenza di –>Stoccolma del giugno 1972, e a muovere all’attacco delle conclusioni della ricerca fu in particolare Barry –>Commoner, uno dei padri dell’–>Ecologia politica, che condivideva in buona parte l’analisi sui limiti dello sviluppo e però rifiutava le contromisure proposte, vedendo nei meccanismi intrinseci del capitalismo le vere cause della crisi ecologica e legando l’obiettivo di una “riappacificazone” tra l’uomo e l’ambiente non alla rigida e generalizzata imposizione di una crescita zero, che avrebbe cristallizzato le iniquità sociali del mondo, ma piuttosto a un cammino di liberazione sociale che emancipasse l’umanità da quella logica dominante del profitto che alimentava, al tempo stesso, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e l’aggressione alla natura e agli equilibri ecologici.
Come lo stesso Meadows ha in seguito riconosciuto, molte delle previsioni contenute nel Rapporto si sono rivelate inattendibili, anche perché originate da un uso troppo rigido delle tecniche della modellistica matematica. Negli ultimi anni è prevalente l’idea – alla base del concetto di –>Sviluppo sostenibile e degli indirizzi più recenti della stessa –>Economia dell’ambiente – che la via realistica e socialmente congrua per porre un argine al degrado ambientale non sia fermare lo sviluppo economico, ma disaccoppiarlo, grazie all’innovazione tecnologica, da un trend di continua crescita del prelievo di risorse naturali e della pressione inquinante sull’ambiente, e ricondurlo in una prospettiva che non appiattisca più le nozioni di benessere, di progresso, su una dimensione esclusivamente economicista e quantitativa. Tuttavia è indiscutibile che il Rapporto e il filone di ricerche che da esso scaturì – pochi anni dopo –>Daly pubblicò un saggio in cui si teorizzava la necessità di uno “stato stazionario” -, abbiano contribuito in misura decisiva a diffondere la consapevolezza che i problemi legati all’inquinamento e all’eccessivo prelievo di risorse naturali fossero preoccupazioni fondate e concrete, e ad imporre definitivamente il tema dei limiti alla manipolazione umana della natura. Questa “rivoluzione culturale” ha fornito un alimento importante per la crescita dell’ambientalismo, per la costruzione di normative ambientali nazionali e sovranazionali (–>Diritto dell’ambiente), per la possibilità di un approccio consapevole ai problemi ambientali di carattere globale (–>Cambiamenti globali). Da essa, infine, è venuto uno stimolo importante ad aprire la discussione sul limite anche in campi che non attengono immediatamente al rapporto tra economia ed ambiente, dall’–>Etica dell’ambiente, alla –>Bioetica, al dibattito sui limiti alla libertà di ricerca scientifica e di applicazione tecnologica.