Hans Jonas

Filosofo, tedesco (1903-1993).

Di famiglia ebrea, formatosi alla Scuola di Husserl, –>Heidegger e Bultmann, J. all’avvento del –>Nazismo emigrò in Palestina, e dopo la scoppio della seconda guerra mondiale si arruolò come volontario nell’esercito britannico. Nel 1949 lasciò il neonato Stato di Israele insegnando prima in Canada e poi, dal 1954, alla “New School for Social Research” di New York. 

La riflessione di J., assai ampia e rispondente ai più diversi interessi storici e filosofici – dalla studio della filosofia antica, ad Agostino, allo gnosticismo – ha frequentato a lungo, seppure in modo originale, anche i percorsi esistenzialistici della critica della –>Tecnica. Tale ricerca può dare all’apparenza l’impressione dell’eterogeneità. In realtà è attraversata in modo estremamente originale da un filo rosso, del quale è possibile rinvenire la trama proprio partendo dagli studi di J. sul fenomeno che a prima vista appare più remoto dal mondo contemporaneo e ai suoi problemi: la vicenda oscura e lontana delole eresie gnostiche. Agli albori dell’era cristiana lo gnosticismo, con la sua cpacità di sincretizzare apporti cristiani e pagani, sia occidentali che orientali, agli occhi di J. si presenta come il seme teorico e culturale su cui fiorisce e si diffonde in Occidente una concezione così radicale della trascendenza da realizzare un passo irrevocabile in direzione di quel dualismo tra divino e natura che, estraneo alla religiosità e alla cosmologia naturalistiche greche clasiche (–>Physis), connoterà il rapporto più tipico dell’uomo occidentale con la natura, sottraendole senso e sacralità e predisponendone l’utilizzo strumentale. La gran parte del pensiero moderno porta con sè il segno nichilista di questo primo passo e della frattura tra divino, uomo e natura che ne è seguita. Lo porta con sé, direttamente, il pensiero che si è risolto in un’esaltazione della tecnica come attività di manipolazione della natura. Ma lo porta con sé anche, indirettamente, la critica esistenzialistica a questa esaltazione della tecnica, detentrice anch’essa di una ben visibile impronta nichilista. 

Per J., tale prospettiva storico-filosofica è quella che meglio rivela la situazione contemporanea nelle sue più attuali urgenze. Così, nel saggio del 1979 Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, la sua opera centrale, egli si sofferma sulle due nuove, decisive sfide che impegnano la responsabilità dell’uomo contemporaneo: l’erosione del senso dell’esistenza (e dunque la diffusione di sentimenti nichilisti) e la concreta minaccia di distruzione del  mondo organico. Due frontiere di ricerca tra loro intimamente legate: rifiutare il nichilismo significa dare una forma articolata alla speranza di preservare l’umanità e la natura dalla distruzione. Perché questo percorso si compia, occorre partire dal pieno riconoscimento del valore in sé dell’esistenza, che J. rinvia a un principio etico e anche religioso di responsabilità. L’uomo, in quanto portatore di responsabilità verso gli altri – sia i suoi simili che tutti gli esseri viventi – ha il dovere di preservare la propria specie – dunque pure le generazioni future -, e con essa la natura che ne è la base organica. Tanto più nel tempo presente, quello del “Prometeo definitivamente scatenato” in cui il capitalismo tecnocratico (ma la stessa utopia tecnologica comunista) s’identificano col progetto tecnico di liberare l’umanità da Dio e dalla natura, di dotarla di una smisurata potenza e libertà di agire. Questa potenza e questa libertà, questo libero arbitrio, per J. vanno interpretati e mitigati dall’uomo adottando un principio di responsabilità e di dovere etico – cioè, ancora una volta, scegliendo liberamente -, al fine di preservare il futuro delle generazioni umane e della natura tutta. Per questa via, l’orizzonte dell’etica viene ad allargarsi dai soli rapporti interumani all’intera biosfera, e a ricomprendere non solo il tema della difesa dell’ambiente ma anche questioni inedite come l’eutanasia, le tecniche di procreazione assistita  e in generale la –>Bioetica. 

In J. la costante preoccupazione etica e la valorizzazione della libertà umana si originano anche da drammatiche motivazioni personali  – la fuga dalla Germania per sottrarsi alle persecuzioni antiebraiche, la morte della madre nei campi di sterminio -, e questa tormentata ricerca dal così forte segno “biografico” trova un ulteriore sistemazione, quasi un compimento, nel celebre saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz (1987), fondato sull’assunto che dopo l’Olocausto si può e si deve affermare, così egli scrive, “che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile”, che “il male c’è solo in quanto Dio non è onnipotente”, che “concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza”.

Il pensiero di J. rifugge da ogni tentazione biocentrica (–>Biocentrismo), e anzi pone al centro l’eccezionalità dell’uomo come unico essere capace di responsabilità,  proponendo di rifondare la visione antropocentrica (–>Antropocentrismo) su basi radicalmente nuove che assumano la centralità della crisi ecologica nel mondo contemporaneo. Essa ha ispirato in modo forte ed esplicito le correnti d’impronta più sociale e politica dell’ambientalismo, compresa l’–>Ecologia politica, nonché le visioni di un’–>Etica dell’ambiente che mantengono una distinzione di valore tra l’uomo e gli altri esseri viventi,  mentre è stata rifiutata come superficiale, viziata da un fondamento utilitarista, dall’–>Ecologia profonda. 

BIBLIOGRAFIA

Organismus und freiheit. Ansätze zu einer philosophischen biologie, 1966

Il principio responsabilità, 1979

Tecnica, medicina ed etica, 1985

Il concetto di Dio dopo Auschwitz, 1987

Ti consigliamo anche