Denis Diderot

Filosofo, francese (1713-1784).

Educato in un collegio di gesuiti nella città natale di Langres, ben presto D. rifiutò l’ambiente ecclesiastico e si trasferì a Parigi, dove fu per quarant’anni il principale protagonista del progetto dell’Encyclopédie, a cui collaborarono tutti i grandi pensatori del Settecento francese – da –>Voltaire a –>Rousseau, da –>Quesnay a Montesquieu – e che rappresenta il manifesto del pensiero illuminista (–>Illuminismo).

Al centro dei variegati interessi che mossero la sua riflessione, si colloca uno sguardo profondo e originale sulla natura: una natura alla quale D., anche una volta abbandonato il deismo naturalistico (–>Naturalismo) delle prime opere – assai in voga all’epoca e in aperto contrasto con i dogmi, ritenuti irrazionali, delle religioni rivelate – e fatta professione di ateismo, non smise mai tuttavia di riconoscere un’anima, tenendosi così a distanza sia dal –>Meccanicismo dominante nel metodo scientifico del tempo, sia dal panteismo che era stato di –>Spinoza o che sarà di –>Goethe. Piuttosto, l’idea di D. di una generazione spontanea degli organismi e di una continuità tra inorganico e organico, il fatto che egli rifiutasse i concetti di creazione e di ordine naturale – che vedeva  smentiti dalla preponderante presenza in natura dell’imperfezione e del disordine -,  ne avvicinano la visione a quella sistematica ed evoluzionistica “ante-litteram” di –>Buffon e di –>Lamarck

Il problema della natura – la natura profonda e istintiva dell’uomo, ma anche l’ambiente naturale – è affrontato da D. con forza e originalità ancora maggiori nel campo della riflessione  morale, dove spingendosi oltre il giusnaturalismo settecentesco, egli ravvisa non solo una frattura tra “codice civile” e “codice religioso”, ma anche tra “codice civile” e “codice della natura”, fino a mettere in discussione – come –>Rousseau, ma in modo meno radicale di quest’ultimo – l’idea stessa di progresso civile, che ritiene vada mediato in un “giusto mezzo” con la natura. Così, nel Supplemento al viaggio di Bouganville – libro del 1772 scritto in forma di dialogo immaginario tra un “selvaggio” polinesiano e un cappellano al seguito dell’esplorazione geografica condotta dal barone di Bouganville – D. non esita a prendere le difese dei costumi di popolazioni primitive in nome di una loro superiore naturalità e purezza di vita rispetto alle sofisticherie e all’eccesso di civiltà di cui vedeva soffrire le società europee, arrivando a denunciare, tra i primi, guasti e crimini del colonialismo: “Quanto siamo lontani – esclama alla fine del dialogo il cappellano – dalla natura e dalla felicità! L’autorità della natura non può essere distrutta; si avrà un bel contrastarla con degli ostacoli, essa durerà”.

Tra i padri della cultura dei Lumi, D. è uno dei più distanti dalla visione meccanicista: in lui, l’ambizione illuminista e materialista di liberare la conoscenza e l’esperienza umana dal peso schiacciante delle sovrastrutture religiose e morali, diventa possibilità, necessità di riavvicinare l’uomo al proprio “essere naturale”, in una prospettiva che sarà largamente presente nelle premesse e negli sviluppi del pensiero ecologico, e che testimonia della complessità, e anche dell’ambivalenza, del rapporto tra eredità dell’Illuminismo e sensibilità ecologista. 

BIBLIOGRAFIA

Pensieri filosofici, 1746

Il sogno di d’Alembert, 1769

Ritorno alla natura. Supplemento al viaggio di Bouganville, 1772

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