Aristotele

Filosofo e scienziato, greco (384-322 a.C).

Figlio di un medico e allievo di Platone all’Accademia, A. a circa quarant’anni fu chiamato da Filippo il Macedone come precettore del figlio Alessandro. Fu fondatore del Peripato, Scuola filosofica attiva ancora per molti secoli dopo la sua morte. Al suo nome e al suo pensiero si lega una concezione del cosmo che, fatta propria con non poche manomissioni della teoria originale dalla tradizione cristiana, durerà per tutto il medioevo, scalzata definitivamente solo dalla nuova visione scientifica della Terra e dell’universo affermatasi tra XVI e XVII secolo.

Dell’immensa produzione filosofica di A., conservatasi solo nelle cosiddette opere esoteriche – le opere di scuola -, fanno parte a pieno titolo anche i testi biologici e naturalistici, tra i più accurati e influenti di tutta l’antichità. Le teorie in essi contenute hanno un forte legame con la filosofia aristotelica, e possono essere spiegate solo all’interno di una concezione teleologica e metafisica della natura, volta da un lato a superare le forme di →Meccanicismo in cui era caduto il →Naturalismo atomista, ma dall’altro anche a “stabilire” e a spiegare i fenomeni senza ricorrere alle astrazioni tipiche del platonico mondo delle idee.

Alla base del pensiero scientifico aristotelico vi è la teoria della generazione naturale fondata sull’idea di forma. Una forma intesa, però, non al modo dell’eidos platonico, separato dai fenomeni e costitutivo di un mondo a sé, ma pensata come immanente ai fenomeni, causa che li “in-forma”, li fa diventare ciò che sono: concepita cioè come “atto” di una “potenza” che si sviluppa secondo una causa finale, secondo un principio che, pur informando di sé l’intero processo della generazione naturale, tuttavia nelle cose sensibili, dotate di materia oltre che di forma, può conservare solo i caratteri di una tendenza contingente e non quelli dell’inflessibile necessità. Così, questo ilemorfismo conduce A. a riconoscere un telos, un fine, insito nei processi naturali come tali, e al tempo stesso a vedere di tali fenomeni il carattere contingente e indeterminato, aperto all’imprevisto. Ciò si coglie perfettamente nella teoria dello sviluppo embrionale, che A., senza possedere alcuna nozione della genetica moderna, spiega come uno sviluppo mosso dalla tendenza insita nella generazione naturale ad adeguarsi alla forma come causa finale di ogni processo e, al contempo, come risultato di concause contingenti. L’essere umano genera l’essere umano, il girino diventa rana, ma innumerevoli fattori contingenti fanno sì che tale processo di attuazione della forma possa anche non giungere a termine; e tale contingenza costituisce una caratteristica essenziale del processo stesso. In questa visione, che l’aristotelismo medievale interpreterà in termini creazionisti (→Creazionismo) del tutto estranei all’intendimento originario aristotelico, affonda le radici tanto l’idea che la natura abbia un ordine – ordine il quale, ancorché contingente, è immanente al divenire naturale e, informando di sé fenomeni e specie, rapporta la generazione naturale al divino e all’ingenerato, di cui costituisce, per quanto sbiadita, un’imitazione – quanto l’idea che l’uomo, come unico essere dotato di logos, razionale, occupi il vertice di quest’ordine naturale. Da tale punto di vista, la distanza dalle moderne teorie evolutive è nettissima: per il pensiero di A. si può parlare di generazione da un ordine e un’impronta originari, mentre nell’orizzonte evoluzionista e in particolare in àDarwin, la natura e la vita evolvono al di fuori di ogni criterio teleologico. In un caso, si è davanti a una vera e propria scala gerarchica delle forme naturali, che conservando per lo più le proprie caratteristiche originarie, va dagli esseri più nobili a quelli meno nobili; nell’altro, a un’evoluzione continua delle specie, composte da popolazioni che si modificano incessantemente in base a fattori ambientali.     

Malgrado questa idea gerarchica della natura, le opere fisiche e biologiche di A. rivelano però sorprendenti assonanze con la moderna sensibilità ecologica. A. liquida come “infantile disgusto” la repulsione che si può provare verso gli esseri naturali più infimi, e riserva solo a una visione filosofica la capacità di comprendere che “in tutte le realtà naturali c’è qualcosa di meraviglioso”, e dunque di riconoscere la finalità in grado di riscattare ogni ente naturale, in quanto tale, da quel “pantano barbarico” in cui Platone aveva gettato le forme sensibili della natura e di elevarlo alla “regione del bello”. Anche nel campo della filosofia pratica, il pensiero di A., teorizzando un ordine e un’armonia tra vita associata e natura, polis e →Physis, e stabilendo una stretta dipendenza della felicità umana dalla realizzazione di questo ordine, evoca ancora una volta temi centrali nell’odierna riflessione ecologica. Così, per esempio, questo stesso ordine è richiamato nell’elaborazione di un economista contemporaneo come Amartya →Sen, che fa esplicito riferimento ai princìpi etici e alla teleologia contingente che muove la concezione politica aristotelica.  

Bibliografia

  • Opere biologiche
  • Politica
  • Etica nicomachea

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