Amartya Sen

Economista e filosofo, indiano (1933).

Professore in alcune delle più prestigiose università del Regno Unito e degli Stati Uniti – da Cambridge a Harvard -, Premio Nobel per l’economia nel 1998, S. ha dedicato larga attenzione alle connessioni tra problematiche ambientali e teorie economiche.

A partire da un concreto “case-study”, la terribile crisi alimentare vissuta dal Bengala nel 1943, egli ha teorizzato che le carestie nascono spesso non da una carenza di cibo disponibile, ma dal crollo del potere di acquisto a disposizione delle comunità, in ciò sovvertendo un’opinione consolidata all’interno della teoria economica neoclassica. Questa visione si collega all’idea, già centrale nell’”economia del benessere” (–>Pigou, –>Mishan) e nella stessa –>Economia dell’ambiente, che l’economia di mercato necessiti di correttivi e mitigazioni per assolvere ad una funzione socialmente utile e progressiva, e più di recente ha condotto S. ha valorizzare il tema dello –>Sviluppo sostenibile come criterio indispensabile per armonizzare crescita economica e aumento del benessere. Per S., economista squisitamente liberale, l’accento va però posto più sulla necessità di rendere gli individui e i sistemi politici consapevoli e responsabili rispetto all conseguenze ambientali dell’agire economico, che non su politiche coercitive, siano esse gli interventi per ridurre i tassi di natalità e dunque la sovrappopolazione o per diminuire il prelievo di risorse naturali.

Il pensiero economico e l’elaborazione politica di S si offrono come una declinazione del liberalismo in senso progressista, etico e “multidimensionale”, rivolta prevalentemente alla sinistra riformista. Secondo S, le politiche che perseguono una più equa distribuzione della ricchezza e anche un rapporto più equilibrato tra economia e ambiente, a partire da una nozione non solo quantitativa di benessere e progresso, sono preferibili non solo in termini sociali ma anche sul piano della convenienza economica, perché più aderenti alla intrinseca e crescente molteplicità – e irriducibilità alla sola dimensione materiale – dei bisogni umani: ciò diventa più vero quanto più avanza la globalizzazione, processo irreversibile e potenzialmente benefico per l’intera umanità, ma che governato come oggi sulla base di logiche economiciste e neoliberiste, è un moltiplicatore di disuguaglianze. Così, S. propone una rilettura del liberalismo classico fondata sul rifiuto della deriva economicista insita nel pensiero neoliberista e sull’ambizione di combinare il tradizionale approccio utilitarista con una forte sottolineatura della necessità sia economica che etica di promuovere in ogni campo e ad ogni scala geo-politica la possibilità per ciascuno di coltivare le proprie aspirazioni auto-realizzative. In questa prospettiva, l’economia diventa – secondo un’interpretazione che fa esplicito riferimento al pensiero aristotelico (–>Aristotele) – mezzo per il raggiungimento di un fine ultimo, la “fioritura umana”, dimensione massima di libertà, responsabilità e diversità individuale connotata in un senso etico, ecologico e teleologico.

BIBLIOGRAFIA     

Povertà e carestie, 1981

Scelta, benessere, equità, 1986

Risorse, valori e sviluppo, 1992

The quality of life (con Marta Nussbaum), 1993

Globalizzazione e libertà, 2002

La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale (con Jean-Paul Fotoussi e Joseph Stiglitz), 2013

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