Un viaggio virtuale nel cuore di alcune delle aree protette e riserve naturali gestite o co-gestite da Legambiente. Per scoprirle e riscoprirle, in attesa di poter tornare presto a esplorarle ancora. Il nostro secondo appuntamento è con il Grande Faggio, a Pretoro, provincia di Chieti. Nel paese dei lupi e dei “serpari”, eletto tra i borghi più belli d’Italia, su fino in cima alla Montagna Madre degli abruzzesi
Primavera inoltrata, il tempo sospeso davanti all’emergenza che stiamo attraversando sembra essersi dilatato negli ultimi mesi. Sebbene non sia ancora il momento di tirare il fiato, il futuro imminente ci proietta verso una nuova quotidianità. Desiderosi di respirare ossigeno a pieni polmoni immersi nella Natura, abbiamo in serbo per voi qualche sorpresa. Anzi, delle vere e proprie riserve di sorprese.
Un viaggio virtuale nel cuore di alcune delle aree protette e riserve naturali gestite o co-gestite da Legambiente, che fin dai suoi esordi ha fatto dello sviluppo e della conservazione di questi luoghi una delle sue battaglie più distintive. Oasi dagli equilibri delicati, custodi di una biodiversità da non disperdere e di contesti paesaggistici e culturali da valorizzare, le aree che abbiamo scelto di raccontarvi sono territori sui quali planare con l’ausilio di “cartoline” fotografiche e filmati capaci di catturarne vivacità e bellezza, peculiarità e magia. Per scoprirle e riscoprirle, in attesa di poter tornare presto a esplorarle ancora.
“Il Grande Faggio” – CEA Legambiente, Area faunistica del Lupo appenninico, Pretoro CH
Siamo nel territorio del Comune di Pretoro, piccolissimo borgo in provincia di Chieti, sul versante nord-orientale della Majella, la Montagna Madre per gli abruzzesi da cui prende il nome il Parco nazionale omonimo. Un parco all’interno del quale insiste l’area che andremo a scoprire. Una zona ricchissima di faggete, praterie di altitudine, fauna e flora tipiche dell’Appennino centrale, di una bellezza rara e spesso poco conosciuta.
Il Centro di Educazione ed Esperienza Ambientale “Il Grande Faggio” nasce nel 1996 e lavora a contatto con scuole, enti e visitatori sui temi dell’ambiente promuovendo lo sviluppo sostenibile. Situato nella parte più alta del borgo, funge da vero e proprio presidio culturale all’interno del parco e nel territorio circostante. Una realtà che nel 2003 si arricchisce ulteriormente con l’attivazione dell’Area faunistica del Lupo Appenninico di Pretoro, che si estende tra le località Calvario e Falselongo: una superficie di circa tre ettari, provvista di un’altana di osservazione e di ampi recinti per ospitare gli animali.
“Il Grande Faggio” offre servizi di didattica ambientale, ospitalità, visite guidate, esperienze di escursionismo e nordic walking, soggiorni natura e attività artigianali nel Parco Nazionale della Majella, oltre che informazioni puntuali sulla corretta fruizione del territorio. Educatori ambientali, accompagnatori di media montagna e volontari gestiscono il centro e l’area faunistica, al cui interno trovano ricovero temporaneo o definitivo alcuni esemplari di lupo appenninico.
L’ente scientifico del parco si avvale inoltre di etologi, biologi e di uno staff veterinario che si prende cura di lupi feriti trovati in natura: nell’area faunistica per loro è possibile recuperare vigore in attesa di tornare alla vita libera. Un richiamo per decine di esperti che ogni anno si recano a Pretoro per studiare il comportamento di questi animali, ai quali vengono garantite zone aperte, con prati e radure, e zone boscate dove trovare rifugio.
Localmente conosciuto anche come “la piccola Matera d’Abruzzo”, il centro storico di Pretoro si distingue per le peculiari case scavate nella pietra e disseminate tra i vicoli stretti del paesino, eletto uno dei borghi più belli d’Italia: arroccato sulla Majella, dalle sue alture si gode anche di uno splendido affaccio sul Mare Adriatico, oltre che di una posizione panoramica sulla Valle del Foro.
Dalle faggete al centro abitato, la ricca disponibilità di legname caratterizza da sempre le attività che animano la vita di Pretoro, poco meno di 900 (940 residenti) abitanti, per le cui vie ci si può imbattere in botteghe e laboratori di fusari, intagliatori e tornitori, i mestieri della tradizione che si rinnova.
La sorte benevola del lupo, da queste parti, si lega anche alla stessa vocazione artigianale di Pretoro, che non è mai stato territorio di pastori e che dunque non ha vissuto la presenza di questo animale come una minaccia. Proprio questo affascinante predatore ha stimolato l’immaginario popolare ed è al centro di un rituale, commistione di sacro e profano, che a Pretoro si ripropone ogni prima domenica di maggio, in occasione della festa di San Domenico, quando va in scena una rappresentazione nota come “Il miracolo di San Domenico e il Lupo”. Un altro momento topico della festività è invece quello che vede protagonisti i cosiddetti serpari, giovani del luogo chiamati a prender parte a una sorta di “rito d’iniziazione” legato ai serpenti, che si rifà all’antico culto della dea Angizia. Sia serpenti che lupi sono archetipi di antichi culti pagani, in seguito trasformati in rappresentazioni religiose che a distanza di secoli mantengono una suggestiva aura di sacralità e magia.
Dove osano i camosci!
Verso Cima Murelle con l’omonimo Anfiteatro, ammirando le diverse forme del glacialismo e i branchi di Camoscio, fra i più numerosi del Parco Nazionale della Majella
L’escursione proposta presenta diverse varianti e diversi livelli di difficoltà. La partenza è dal Rifugio B. Pomilio a quota 1930 s.l.m. Percorriamo il sentiero Indro Montanelli-Porreca ammirando i bastioni del versante nord-orientale della Majella, le profonde valli orientali, le distese boschive che si estendono da Est a Ovest e una moltitudine di forme vegetali. Giunti alla Madonnina delle Nevi, termina la passeggiata semplice di 2,3 km adatta a famiglie e persone diversamente abili.
Continuando, invece, si imbocca il sentiero P, uno dei grandi sentieri tematici del Parco della Majella che tocca molte delle principali vette del parco. Nella parte iniziale ammiriamo i grandi valloni delle Tre Grotte e di Selvaromana, estremamente profondi e ripidi ai due lati delle Gobbe di Selvaromana, ricche di relitti glaciali vegetali e animali e incominciamo a intravedere una delle mete: l’Anfiteatro delle Murelle. Al ritorno potremo deviare alla scoperta del Blockhaus, fortino costruito per combattere il brigantaggio post-unitario da parte dei Savoia, ma affidato agli austriaci per il controllo del territorio e i combattimenti.
Aggirato il primo monte del Blockhaus, si cammina su una dorsale chiamata Scrima Cavallo in quanto simile alla schiena di un cavallo e che fa capo a Monte Cavallo, dove troviamo molte iscrizioni ottocentesche identificate come Tavola dei Briganti, probabilmente realizzate da manutengoli, collaborazionisti, simpatizzanti e pastori che stazionavano sulla Majella lasciando le loro memorie su queste pietre. Una scritta famosa racconta che il re d’Italia ha trasformato la montagna dei fiori nel regno della miseria, a testimonianza del fatto che i briganti locali mal vedevano questa nuova e oppressiva presenza dell’esercito sabaudo nel territorio abruzzese. Da qui è possibile rivolgere l’ultimo sguardo alle strutture dedicate allo sci alpino e lo snowboard delle stazioni invernali di Passo Lanciano – Majelletta.
Da qui in poi è un perdersi nella selvaggia bellezza della Majella da godersi con una sosta al fontanino di Selletta Acquaviva. Qui però la montagna cambia, abbiamo percorso circa 5,5 Km ma ora il tracciato diventa erto ed impegnativo e, per entrare nel famoso anfiteatro delle Murelle, dobbiamo salire fino al bivacco Fusco, affacciato su uno degli anfiteatri glaciali più studiati al mondo, collocato tra due vette: Cima Murelle (2596 m s.l.m.) a sinistra e il M. Focalone (2676 m s.l.m.) a destra. Non è infrequente avvistare i camosci al pascolo o al riparo dal vento e dalle improvvise bufere.
La Majella è da considerarsi attualmente un vero e proprio serbatoio europeo di camosci. La zona è molto ricca di fossili, a testimonianza della presenza dell’antico mare di Tetide con acque calde e poco profonde ricche di vita. Ora abbiamo percorso circa 7 Km raggiungendo quota 2455 m s.l.m. e possiamo decidere di tornare indietro per la stessa via oppure scendendo nell’anfiteatro con il G9, raggiungendo uno stazzo ed imboccando il sentiero G7 che ci riporterà al fontanino. (Attenzione ai passaggi ripidi ed ai tratti attrezzati con corde e catene metalliche).
Per i più ardimentosi, dallo stazzo si prenda comunque il G7 ma per salire a Cima Murelle dal versante di NE, ripido ed impegnativo con tratti a volte meno visibili anche per nebbie improvvise; se si sale alle Murelle consigliamo di non tornare indietro ma proseguire sul G7 percorrendo creste meravigliose e raggiungendo in salita la sella del M. Focalone da dove torneremo scendendo al bivio del Bivacco Fusco per riprendere la via del ritorno al punto di partenza. In questo caso avremo percorso un circuito di circa 18 km con un dislivello di quasi 715 mt a ricordo di un’indimenticabile esperienza di trekking-alpinismo sulla Majella.
FABRIZIO CHIAVAROLI, amministratore presso “Il Grande Faggio”
“Una delle unicità di Pretoro risiede senz’altro nel rituale legato al lupo e ai serpenti, un evento che trova alcune analogie e similitudini solo in altre due o tre località italiane, e che qui ha un valore culturale e antropologico estremamente importante. Quanto all’area faunistica che sorge al limitare del paese, siamo impegnati in una gestione quotidiana per garantire il benessere degli animali e in una continua “animazione territoriale” volta a rendere partecipe la comunità locale nella gestione e promozione del proprio territorio. Non mancano certamente le attività di avvistamento faunistico che organizziamo nel parco, spesso ripercorrendo le tracce dei lupi, in un autentico contatto con i diversi ambienti naturali. Quello che noi proponiamo è un turismo più attento e rispettoso degli habitat del parco e delle loro dinamiche. L’anno scorso, prima che l’emergenza ci costringesse allo stop, abbiamo registrato la presenza di 4700 giovani, mentre oltre 3 mila persone hanno usufruito dei nostri servizi divulgativi e informativi in maniera totalmente gratuita.
Per quanto concerne le attività di volontariato constatiamo una buona risposta della comunità locale e di quelle dei paesi vicini: i nostri Puliamo il mondo, ad esempio, registrano una presenza media di 80-90 persone ad ogni edizione, una bella cifra se rapportata a municipalità che raramente superano i mille residenti. Il nostro essere Legambiente in queste piccole comunità si costituisce inoltre come un fondamentale ruolo di tessitura di relazioni, per coinvolgere la popolazione in progetti educativi, di sensibilizzazione culturale e valorizzazione dei beni comuni.
Quando all’inizio dei primi tepori della primavera del 1993 mi trovavo con Daniela, mia sorella, a discutere un po’ sul nostro futuro, non avremmo mai pensato a ciò che abbiamo umilmente costruito fino a oggi. Negli anni ’90 avevamo accumulato un bel bagaglio di esperienze in campo ambientale, frutto di una grande passione per la montagna e delle più svariate attività di turismo ed educazione ambientale vissute negli anni in cui ci si incentrava più sul naturalismo conoscitivo che sullo sviluppo sostenibile, attuale e matura dimensione dei processi divulgativi ed educativi in tema di ambiente. Le nostre esperienze universitarie ci proiettavano in altri campi, ma era difficile abbandonare quello che si era fatto fino ad allora, soprattutto perché ci si rendeva conto che, alla fine, dalla nascente cultura dell’ambiente era possibile costruire nuove forme imprenditoriali ed occupazionali.
Stavano per nascere i nuovi parchi in Italia, tra cui il nostro, e le aree protette potevano rappresentare una concreta svolta, soprattutto per le comunità locali rimaste fino ad allora spettatrici e forse anche vittime di uno sviluppo che procedeva solo sulla costa e consumava le realtà più interne dell’Abruzzo. Creare un “centro” che rispondesse ai nostri desideri, implicava rinunce, coraggio da pionieri, risorse economiche, trasferimento nell’entroterra… bisognava pensare ad un luogo come nostra sede che fosse emblematico.
Ci trovavamo ad attraversare una splendida faggeta che sovrasta l’abitato di Pretoro, eravamo fuori sentiero e questo a Daniela non piaceva, mal sopportava l’idea di perdersi nel bosco… sotto la chioma di un faggio gigantesco, lei raccolse una foglia di quest’albero e la conservò nel portafogli, di lì a tre anni sarebbe diventata il nostro logo che, insieme al cigno, ci ha accompagnati in questi ultimi trent’anni”.
A cura di Valentina Barresi
Per le foto inserite all’interno del testo si ringrazia Fabrizio Chiavaroli