Undicesimo giorno

Questa mattina sarei stato comunque sveglio dalle 6. E attivo. Come quasi tutti i 21 di marzo degli ultimi 20 anni, vissuti insieme allo staff di Libera che organizza la Manifestazione per la memoria e l’impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie. Dopo aver ripassato, la sera prima, i compiti di ognuno, il percorso da seguire, ogni volta attraverso le strade di una città diversa, le modalità di gestione della “testa” del corteo. Quella riservata ogni 21 marzo ai familiari delle vittime. Persone di una straordinaria umanità e di un coraggio che trasmettono anche solo con i loro sguardi. Perché ci vuole coraggio a rivivere, testimoniandolo ovunque, il dolore immenso di aver perso una persona che ami. Donne e uomini che ho l’onore, il 21 di marzo, di servire. Coordinando gli scout che li tutelano, facendo due catene mano nella mano, perché nessuno possa disturbare la LORO manifestazione. E aiutandoli a scandire, passo dopo passo, questa marcia del primo giorno di primavera, fatta per chiedere verità e la giustizia. Quelle che troppi di loro ancora non hanno.

Non è stato semplice scegliere la vittima a cui dedicare l’immagine di copertina della mia pagina facebook, come ha chiesto di fare Libera per quella che sarà, ne sono certo, una grandissima manifestazione. Registrata per sempre su quei canali di comunicazione social che sono diventati, nostro malgrado, gli unici legami sociali possibili da coltivare oggi, nell’era del Covd19. Non solo perché ogni vittima innocente racconta, con la sua vita e il modo in cui gli è stata rubata dalle mafie, una pagina di storia da non dimenticare. Ma perché ne conosco davvero tanti dei loro familiari. E a molti sono legato da una profonda amicizia.

Se ho deciso di dedicare i miei fiori a Natale De Grazia è per due motivi. Il primo è storico: quest’anno, il prossimo 12 dicembre, saranno 25 anni dalla sua morte. Il secondo è più personale e mi lega al suo tragico destino. Siamo stati io e il mio amico Nuccio Barillà, che De Grazia lo conosceva bene per il suo amore profondo verso il mare e il suo impegno nella Capitaneria di porto di Reggio Calabria, a presentare l’esposto da cui sono partite, come nella trama di una fiction, le ultime indagini a cui si è dedicato. Quelle sui traffici illegali di rifiuti, si sospetta anche radioattivi, che con Legambiente denunciavamo nei nostri primi dossier sull’ecomafia. Veleni sepolti nelle cave abusive o stipati nelle stive delle navi, carrette dei mari colate a picco dolosamente per incassare anche i premi assicurativi. Nessuno come De Grazia era in grado di leggere i manifesti di bordo dove erano registrati i carichi di quelle navi, i cui affondamenti nel Mediterraneo, anche al largo delle coste calabresi, avevano insospettito per prima la compagnia assicurativa LLoyds di Londra. Su quelle tracce lavorava De Grazia il giorno in cui l’hanno ucciso. Forse avvelenato, come ha scritto in una relazione la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie. Forse prima torturato, come ha rivelato un’inchiesta di Fanpage.it. Forse.

Nei mesi scorsi il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che ha deciso di conferire a De Grazia la medaglia d’oro al valore ambientale, ha stanziato un milione di euro per riprendere la ricerca di quelle navi affondate tra mille sospetti in mare, forse cariche di veleni. Forse. È l’avverbio dell’incertezza. Quella in cui vivono, da anni, tanti, troppi familiari di vittime innocenti delle mafie, in attesa di avere verità e giustizia. E quella di questi nostri giorni difficili, da superare insieme.

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