Trentesimo giorno

E così è passato un mese: 30 pagine di diario, almeno 40 riunioni on line, 90 flash mob affacciato, bongo in mano, a un balcone. Tutto tracciabile e, quindi, trasparente, insieme a like, comenti, condivisioni e visualizzazioni. Come mai è successo finora a quella parte della mia vita che, per scelta o lavoro, è pubblica. A farmici pensare è stata la lettera aperta che la Fondazione Openpolis (openpolis.it) ha rivolto ieri a tre persone con ruoli e poteri decisivi in questa stagione inedita della nostra democrazia: Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, Cristiano Cannarsa, amministratore delegato di Consip (la centrale acquisti della pubblica amministrazione) e il commissario straordinario Domenico Arcuri. La richiesta è semplice: rendere pubblici tutti i contratti stipulati per fare fronte all’emergenza Covid-19, perché “la trasparenza non è un ostacolo, ma presupposto di buona amministrazione”.

Openpolis da almeno dieci anni “raccoglie dati per produrre informazioni utili e di qualità”. Con un “percorso collettivo, indipendente e senza scopo di lucro”. Da quando il nostro Paese è entrato nel tunnel della pandemia, questa attività di monitoraggio, sperimentata con successo su temi che vanno dal potere politico alla povertà educativa, è stata estesa a “tutti gli atti che le istituzioni stanno prendendo sull’emergenza”. Openpolis ha scoperto, così, che nelle ordinanze di Protezione civile assunte finora ci sono ben 131 deroghe alle leggi ordinarie. A cui si deve aggiungere l’apertura di una contabilità speciale, che “consente di operare al di fuori delle ordinarie norme di contabilità dello Stato”. E “l’allungamento dei tempi per la trasmissione dei dati all’Osservatorio Appalti pubblici”. Deroghe dettate dall’emergenza ma il governo e chi lo rappresenta possono “evitare la compressione di un ulteriore diritto fondamentale in una democrazia – scrive Openpolis nella lettera aperta – . Quello dei cittadini ad essere informati, a conoscere come viene esercitata l’azione dei decisori. E anche a chiamarli a rendere conto delle proprie attività”.

Farlo davvero è abbastanza semplice, anche perché proprio il commissario straordinario Arcuri ha già fatto un primo passo nella giusta direzione, realizzando una piattaforma on line attraverso la quale è già possibile conoscere quali e quanti materiali sono stati distribuiti alle Regioni. E dove presto saranno accessibili i documenti sugli acquisti fatti, i fornitori, il modo con cui sono stati scelti. “Prepariamo un software, presto accadrà”, ha dichiarato Arcuri in conferenza stampa. E qui, verrebbe da dire, “casca l’asino”. Perché il software, scrive Openpolis, non serve. Anzi, rischia di rendere inutilmente più complicato quello che si può fare subito: dare la possibilità di “scaricare in formato aperto i dati già presenti sulla piattaforma attuale e quelli che saranno aggiunti sui contratti”. I dati veri e propri, non le elaborazioni, perché altrimenti si “vanifica qualsiasi possibilità di utilizzo, se non con tempi e costi insostenibili”. Che nessun cittadino ma neppure nessuna associazione può permettersi.

Come ho già scritto ieri, le soluzioni più efficaci ai problemi, inediti, che stiamo affrontando non possono arrivare dalle stesse stanze e dalle stesse menti che, finora, hanno contribuito a crearli. Vale anche per la nuova democrazia digitale che sta facendo finalmente irruzione nel nostro Paese. Mi è capitato di ascoltare scienziati e commentatori evocare i “salti di civiltà” che altre pandemie hanno innescato. Quello della cosiddetta information technology lo stiamo già vivendo. Speriamo che accada altrettanto con la cura e la qualità di altri due beni fondamentali a cui il coronavirus ci sta costringendo a rinunciare: l’ambiente in cui viviamo e le nostre relazioni sociali (nell’immagine: i provvedimenti assunti nell’emergenza Covd-19 fino al 7 aprile, dati ed elaborazione openpolis.it).

#quellocolbongo.

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